Quando affrontiamo qualcosa di difficile, come la fine di una relazione o un fallimento in ambito lavorativo, la nostra reazione è vederci “rotti” e di conseguenza ci sentiamo non abbastanza. Siamo condizionati dal pensiero che quando qualcosa è rotto ha meno valore, quindi l’istinto è di buttarlo, o nel caso di noi stessi lo ignoriamo, cerchiamo di nasconderlo, reprimendo di conseguenza quello che sentiamo in quel momento, la reazione che provoca.
Ma cosa succederebbe se cambiassimo la nostra percezione? Cosa succederebbe se iniziassimo a guardare le nostre crepe e apprezzarle?
Oggi ti voglio far conoscere la tecnica di restauro Kintsugi - nata intorno al 1400 in Giappone - che significa “riparare con l’oro".
Questa tecnica consiste nel riparare gli oggetti in ceramica utilizzando polvere d’oro: i frammenti vengono uniti e le linee di rottura restano visibili. Le crepe vengono illuminate da un filo dorato che le tiene insieme ed ecco che nasce un pezzo unico, che non può essere riprodotto.
Secondo la tecnica Kintsugi da una ferita è possibile ridare vita a ciò che è stato danneggiato, creando una nuova forma da cui nasce una storia ancora più preziosa, sia esteriormente che interiormente. Ogni pezzo riparato diventa unico grazie alle sue crepe e alle sue irregolarità.
La nostra “rottura” non rappresenta la fine, non definisce il nostro valore.
La vulnerabilità non è una debolezza, ma è fonte di forza e coraggio. È l’assumersi il rischio di esporsi a livello emotivo, è darsi il permesso di sbagliare, di andare oltre la paura del giudizio degli altri.
Una persona che decide di imbarcare o che si mette in gioco provando a cambiare compagnia diventa vulnerabile, quello che però non si tiene in considerazione quando si parla di vulnerabilità è il coraggio.
Non si può essere coraggiosi se non si ha paura: ci vuole coraggio per esporsi, per inseguire i propri sogni.
Spesso le difficoltà, le nostre cicatrici, diventano una vergogna, le associamo al dolore, a qualcosa di negativo, al fallimento. Non accettiamo che i momenti di crisi fanno parte del ciclo della vita, della strada che ci porterà al successo. Ecco perché attiviamo degli schemi di evitamento, tutto per non pensare alle cose che ci provocano fastidio o addirittura dolore.
Tendiamo a nascondere la nostra vulnerabilità, la nostra vera essenza, non solo agli altri ma anche a noi stessi.
Ognuno di noi può provare ad affrontare i fallimenti da una nuova prospettiva, crescendo attraverso le proprie esperienze - che siano relazionali o professionali - valorizzarle, non vergognarsene, perché sono proprio queste cose che ci rendono unici e preziosi.
Questa tecnica richiede molta pazienza, e questo vale anche quando si tratta di noi stessi: lavorare su se stessi, diventare consapevoli dei propri schemi e convinzioni limitanti che ci fanno ritrovare spesso nelle stesse situazioni. È come ricadere continuamente in un circolo vizioso che non ci permette di evolvere.
È solo guardando le nostre crepe che possiamo elaborarle e superarle: rompendoci scopriamo di cosa siamo fatti e di conseguenza vediamo da che punto partire nel cammino della nostra crescita, personale e professionale.
Come possiamo fare la differenza?
Creando un ambiente lavorativo sano e sicuro, cambiando le dinamiche a cui siamo abituati fin da piccoli, che ci fanno associare l’errore a qualcosa di sbagliato, di negativo. Normalizzare gli errori e i fallimenti: ecco cosa può fare la differenza.
La prossima volta che senti di essere rottə ricorda l’arte del Kintsugi: perdona i tuoi errori, senti la sensazione che ti provoca quella situazione, ascolta la frustrazione con pazienza. Onora i graffi e le crepe della tua esperienza.
C'è una crepa in ogni cosa, ecco come entra la luce.
- Leonard Cohen
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